Dopo lo sciopero del 16 giugno scorso nei trasporti, che ha provocato forti disagi all’utenza, è iniziato l’assedio al diritto di sciopero. Sono sempre dell’opinione che, se dei lavoratori intraprendono un’azione di lotta collettiva, evidentemente hanno problematiche che non trovano una soluzione nel normale confronto sindacale con l’azienda. Certo che il diritto di sciopero e quello di libertà di spostamento sono entrambi costituzionalmente garantiti, ma pur apparendo in conflitto tra loro hanno invece un punto di incontro, nel senso che da un lato i lavoratori dei trasporti che intendono dare un miglior servizio all’utenza, non hanno la possibilità di farlo perché la mancanza di investimenti dell’azienda ed i tagli ai costi non lo consentono, dall’altro la libertà di spostamento di chi usa i mezzi di trasporto è spesso messa a dura prova dalla non adeguatezza dei mezzi stessi e dalla carenza di infrastrutture o dalla vetustà delle stesse. La riposta del governo si è invece concentrata nel colpire lo sciopero dal punto di vista legislativo; sono ben tre i disegni di legge presentati al Senato che vanno in questa direzione: il disegno di legge 550, presentato dal Sen. Di Biagio; il 1286 presentato dal Sen. Sacconi ed altri; il 2006 presentato dal Sen. Ichino. I predetti disegni di legge hanno l’intento di modificare la legge 146/90 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in particolare nei trasporti, con interventi sulla proclamazione dello sciopero, sull’ampliamento dei poteri della Commissione di vigilanza e persino sul diritto di assemblea nei luoghi di lavoro. In sostanza il diritto di sciopero e il diritto di assemblea nel Paese sono sotto assedio. Ma vediamo i punti salienti di questi provvedimenti che il governo vorrebbe far approvare effettuando una sintesi, che causerebbe un formidabile vulnus all’esercizio di questi diritti. Si vorrebbe ricondurre la proclamazione dello sciopero solo “da parte di organizzazioni sindacali complessivamente dotate di un determinato grado di rappresentatività [almeno del 50%, mentre, al di sotto di questa soglia, sarebbe previsto addirittura un “referendum” preventivo tra lavoratori interessati allo sciopero] e dell'istituto della dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore” disposizione che riguarderebbe “almeno” il settore dei trasporti. Vi è poi un sorprendente “ricorso all'istituto dello sciopero virtuale, inteso come manifestazione di protesta con garanzia dello svolgimento della prestazione lavorativa”, da rendere obbligatorio e sembrerebbe riguardare il solo settore dei trasporti, ma visto come vanno le cose in Italia, potrebbe prevedere l’estensione di tale disciplina anche agli altri settori. Si prevede poi un “congruo anticipo della revoca dello sciopero al fine di eliminare i danni causati dal cosiddetto «effetto annuncio»”. L'istituzione della Commissione per le relazioni di lavoro andrà peraltro ad assorbire l'attuale Commissione di garanzia in modo da consentire, anche attraverso accorgimenti tecnici volti a garantire certezza del diritto e delle relative sanzioni, un più penetrante raccordo tra funzionamento del sistema di relazioni industriali e regolamentazione. L’assemblea nei luoghi di lavoro sarebbe soggetta ad un preavviso di almeno 5 giorni e la determinazione della collocazione temporale dell’assemblea in orario di lavoro spetta in via principale al datore di lavoro. Ma La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è ancora attuale? È una domanda che mi pongo da un po’ di tempo. Alcuni anni fa quando frequentavo un master universitario, un professore di diritto del lavoro di un ateneo romano mi disse: “con la legge che regola lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, si può dire che lo sciopero in Italia è praticamente morto”. La legge 146 varata nel 1990, limita nei servizi pubblici essenziali, in modo fortemente restrittivo, la più importante delle azioni collettive di una associazione sindacale, cioè lo sciopero, ad un sola giornata. Dopo 27 anni lo scenario economico e del lavoro nel nostro Paese è totalmente cambiato: facciamo parte dell’Unione Europea, l’economia è divenuta globale ed iper - liberista, il lavoro è divenuto il bersaglio di istituzioni nazionali e sovranazionali che, in nome della competitività e del mercato, da una parte hanno esautorato la presenza dello Stato nell’economia come arbitro, dall’altra hanno portato alla mortificazione del lavoro, attraverso leggi di regolamentazione come il “Jobs Act”. L’introduzione della moneta unica, non consentendo più di svalutare la nostra moneta nazionale, che non abbiamo più, ha comportato la “svalutazione” del lavoro attraverso bassi stipendi, perdita costante dei diritti dei lavoratori, precarizzazione dell’occupazione, elevata disoccupazione, specialmente giovanile, oltre ad una poderosa deindustrializzazione nazionale. E’ stato indubbiamente presente, nel corso di questi anni, un progressivo allontanamento dei lavoratori dai sindacati con conseguente perdita di forza di quest’ultimi e forse anche la limitazione dello sciopero, voluto dalla legge, potrebbe aver lentamente contribuito a questo risultato. Se quindi le rivendicazioni dei lavoratori sono oggi enormemente più elevate, rispetto al periodo storico in cui è stata varata la legge, appare anacronistica la limitazione voluta dalla norma nei servizi pubblici essenziali; sarebbe pertanto auspicabile che su questo argomento si aprisse, da parte delle associazioni sindacali, una riflessione ed un’energica iniziativa che convinca la politica a desistere da questa aggressione e a riconsiderare in senso meno restrittivo la legge stessa. Fonte
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AutoreLuca Bellini Categorie |