Sono due gli articoli recenti del Financial Times nei quali si parla dell’euro che favorisce solo la Germania. I più maliziosi potrebbero affermare che nel primo articolo, quello del 31 Gennaio scorso, l’intervistato Peter Navarro, presidente del nuovo Consiglio Nazionale del Commercio di Trump, sia di parte ma nell’altro articolo, quello del 5 Febbraio, è il tedesco Wolfgang Münchau, direttore associato del Finacial Times, a dare ragione all’amministrazione Trump. Ma vediamoli: Navarro ha detto al Financial Times che l’euro è un “marco tedesco implicito”, il cui basso valore ha dato alla Germania un vantaggio sui suoi principali partners; afferma infatti che: “La Germania è un grosso ostacolo alla possibilità di vedere il TTIP [trattato di libero scambio per il commercio e gli investimenti tra Usa ed U.E.] come un accordo bilaterale, perché continua a sfruttare gli altri paesi dell’Unione europea, così come gli Stati Uniti, con un ‘implicito marco tedesco’ che è esageratamente svalutato, lo squilibrio strutturale tedesco negli scambi con il resto dell’Ue e degli Stati Uniti sottolinea l’eterogeneità [diversità] economica all’interno dell’UE – ergo, questo è un accordo multilaterale sotto forma di accordo bilaterale.” Nell’articolo si rappresenta come sia evidente che ci sia una crescente volontà da parte dell’amministrazione Trump di contrapporsi ai leader europei e in particolare ad Angela Merkel, il Cancelliere tedesco. Oltre a sostenere pubblicamente il governo della signora May nei negoziati con l’UE sui termini della sua uscita, Trump ha definito l’UE un veicolo della Germania e la NATO un’alleanza obsoleta. La contrapposizione dell’amministrazione Usa nei confronti della Germania, potrebbe essere vantaggiosa per l’Italia, poiché consentirebbe di sganciarci in qualche maniera dalla moneta unica, sfruttando un appoggio che verrebbe da oltre Atlantico, classe politica italiana permettendo. Tornando all’altro articolo del prestigioso quotidiano economico finanziario londinese, Wolfgang Münchau, spiega che: “Lo scorso anno il surplus tedesco delle partite correnti è arrivato al 9 per cento del prodotto interno lordo ed è il più ampio al mondo in termini assoluti. Perché la Germania sta accumulando un surplus così ampio? La risposta superficiale è che non ha più una propria valuta e con essa non ha più un tasso di cambio nominale che possa oscillare. Questo però non coglie le dinamiche sottostanti. Durante la crisi dell’eurozona la Germania ha insistito a imporre l’austerità fiscale all’intero blocco dell’eurozona ed ha imposto anche a se stessa la regola del pareggio di bilancio in Costituzione [ricordiamo che anche da noi in Italia questa norma è stata, purtroppo, inserita dal governo Monti]. Questo impedisce al settore pubblico tedesco di andare in deficit, in misura tale da poter compensare il surplus del settore privato. La radice del surplus strutturale della Germania sta in una combinazione di rigide regole fiscali e di una moneta resa debole dalle misure che si sono rese necessarie per far fronte alle conseguenze di una gestione incompetente della crisi dell’eurozona. Quando Peter Navarro, capo del Consiglio Nazionale per il Commercio dell’amministrazione Trump, parla di un marco tedesco mascherato, ha ragione. Ha ragione anche quando dice che “lo squilibrio strutturale del commercio tedesco rispetto al resto dell’UE e rispetto agli Stati Uniti mette in luce l’eterogeneità economica all’interno della UE“.” Münchau, aggiunge inoltre che la Germania può essere considerata quasi come un paese manipolatore di valuta, rispettando tre dei quattro criteri definiti dall’amministrazione Obama: è un importante partner degli Usa con 55 miliardi di dollari all’anno; ha accumulato un importante surplus con gli Usa, oltre 20 miliardi di dollari all’anno, ed infine ha un ampio surplus di partite correnti, cioè oltre il 3% del Pil. Inoltre la Germania ha depresso i salari dei propri lavoratori ed ha promosso, nell’intera eurozona, una combinazione di politiche economiche che hanno portato ad un euro più debole. Da quanto emerge dagli articoli del Financial Times lo scontro con la Germania da parte dell’amministrazione Trump è solo agli inizi e gli sviluppi della faccenda sono tutti da vedere, a questo si aggiungono gli appuntamenti elettorali della Germania a Settembre e prima ancora della Francia in primavera, che determineranno il futuro dell’euro e della U.E.. La partita è aperta, speriamo che il nostro paese si trasformi da mero spettatore ad artefice del futuro dei cittadini italiani, che non può essere certo quello di continuare a permanere nell’eurozona. Fonte 1 Fonte 2
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AutoreLuca Bellini Categorie |