Sul suo blog Russeurope l’economista francese Jacques Sapier analizza la questione del protezionismo tornata alla ribalta dopo che il neopresidente Donald Trump ha invitato le grandi imprese a “rilocalizzare” la produzione negli Stati Uniti. In effetti un certo numero di imprese, come Ford, Chrysler, ma anche General Motors, Samsung o LVMH, hanno annunciato la loro decisione di tornare negli Stati Uniti. Secondo Sapier una eventualità del genere se accadesse anche in Francia farebbe sì che il reddito delle famiglie sarebbe accresciuto dall’assunzione di lavoratori supplementari, che riceverebbero un salario, anziché ricevere delle indennità di disoccupazione. E si sa che nell’industria il livello medio dei salari è largamente superiore al livello di queste indennità e, anche se le produzioni rilocalizzate sarebbero più care delle produzioni importate e vi sarebbe una certa perdita del potere di acquisto, ciò verrebbe compensato con una maggiore occupazione ( in Francia la disoccupazione è attestata al 10 %). Sapier ritiene che nel caso dell’industria automobilistica francese: “se saranno prese misure protezioniste tutta la produzione di automobili in Francia sarà colpita dai rialzi di prezzo. Ma questo rialzo generalizzato sarà meno importante del 10%, perché le vetture già prodotte in Francia hanno una parte dei loro componenti prodotti sul territorio francese. D’altra parte, se si prendono queste misure, la parte di componenti prodotti in Francia aumenterà”. E proseguendo sul protezionismo: “Storicamente, i grandi periodi di crescita delle economie hanno coinciso con periodi di protezionismo, come in Europa dal 1945 agli anni ’80. Nei fatti, con l’apertura integrale delle economie si constata una diminuzione della crescita, certo, ma non diminuzione dei profitti. In realtà, il libero scambio permette di mantenere molto elevati i tassi di profitto mentre la crescita diminuisce. Sicuro, per certi autori questi profitti si devono trasformare in investimenti. Più profitti oggi è la garanzia di più investimenti domani e di più occupazione dopodomani. Ma questa «garanzia» è del tutto illusoria: i profitti di oggi possono dissiparsi in attività speculative, in spese suntuarie, che non hanno alcun impatto sull’investimento o sull’impiego. Di conseguenza, questo giustifica le politiche protezioniste, che passino per i diritti di dogana, per le misure di regolamentazione, per le norme sociali o ambientali, o ancora per un forte deprezzamento del tasso di cambio della moneta nazionale”. E conclude affermando: “l’apertura delle economie alla concorrenza nazionale produce effetti benefici soltanto se questa concorrenza è «giusta», cioè se coinvolge progetti imprenditoriali e non meccanismi di dumping salariale, sociale o fiscale. Questa è dunque la lezione che la politica attuale di Donald Trump ci ricorda. Ecco perché conviene prestarvi attenzione …. occorre dunque essere grati al nuovo presidente degli Stati Uniti per aver reso oggi visibile questa incoerenza con la sua azione”. Ad approfondire la questione, nel corso della trasmissione “Radio anch’io” su Rai Radio 1, lo scorso 11 Gennaio è anche Alberto Bagnai, Professore associato di Politica economica alla Facoltà di Economia, Università. G. D'Annunzio di Pescara, che ritiene che c’è un certo legame tra ciò che sta succedendo in Usa ed in Europa, nel senso che nel programma economico di Trump si mette in risalto un dato evidente, cioè che l’euro troppo debole penalizza l’economia americana perché rende troppo forte il dollaro, penalizzando le esportazioni statunitensi. Inoltre si accusa la Germania di essere una manipolatrice di valute, di aver favorito il progetto dell’euro per godere di un marco svalutato, cosa ammessa dal candidato di Spd Sigmar Gabriel, il partito progressista tedesco, circa una settimana fa e, rincarando la dose, Bagnai aggiunge: “Gabriel ammette che dobbiamo difendere questo progetto (l’euro) perché ci fa comodo” e prosegue l’economista “dopo che Draghi ha pesantemente svalutato l’euro, improvvisamente sono usciti fuori una serie di scandali: quello della Volkswagen, quello della Deutsche Bank, il dipartimento del commercio americano che ha messo la Germania tra la lista dei cattivi” Conclude Bagnai ritenendo che la mossa di Trump con il protezionismo, è una sconfitta di una certa politica europea ed anche italiana, perchè avevamo una azienda che si chiamava Fiat che ora si chiama Fca, che ha sposato la sede in un paradiso fiscale interno all’Europa, in Olanda, che ha delocalizzato negli Usa, dove ha posto il fulcro della sua attività, il suo core business. Vedremo se il protezionismo di Trump influenzerà positivamente l’economia statunitense ed in quale misura avrà effetti sulla politica economica europea e soprattutto su quella italiana. Fonte 1 Fonte 2 (dal minuto 50 in poi)
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AutoreLuca Bellini Categorie |