E’ notizia di pochi giorni fa che nel nostro Paese il governo ha deciso di aumentare l’età per accedere alla pensione portandola a 67 anni a partire dal 2019. Nel nostro Paese sono 16 milioni le pensioni erogate a fronte di circa 23 milioni di occupati, indubbiamente la forbice che separa il numero di pensioni da quello di chi lavora è piuttosto ristretta, pertanto il sistema pensionistico risente di un basso numero di persone occupate. Finché non si raggiunge l’obiettivo di aumentare il livello di occupati, i governi tenderanno sempre a spostare in avanti l’età di coloro che possono andare in pensione, onde evitare una fuoriuscita eccessivamente onerosa per le casse pubbliche. Finora però tutte le politiche volte ad aumentare l’occupazione si sono rivelate, visto il tasso di disoccupazione, piuttosto fallimentari. Sarà forse colpa del modello economico che ci viene imposto dall’Europa, dall’euro, dalla deflazione salariale? In netto contrasto con questa tendenza non solo italiana è la notizia, riportata dalla Reuters, agenzia di stampa britannica, lo scorso 1 Ottobre, in cui la Polonia, paese che, senza l’euro e con un Pil a + 3.9 %, ha abbassato l’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini. E’ un provvedimento caro soprattutto ai sostenitori del governo di centro-destra, ciò potrebbe suonare strano, ma in effetti è stato un partito di centro-destra a preoccuparsi degli interessi dei lavoratori, il Partito della Legge e della Giustizia (PiS), che ha cambiato la legge che aveva portato a 67 anni l’età per la pensione, approvata nel 2012 dal governo centrista allora in carica. Il provvedimento, sempre secondo l’articolo della Reuters, dovrebbe avere impatti immediati limitati sull’economia, che è in fase di boom, ma potrebbe mettere sotto pressione il bilancio statale in futuro. Questa mossa avviene mentre la disoccupazione in Polonia è scesa ai livelli più bassi dai tempi dell’abbandono del comunismo all’inizio degli anni ’90 e potrebbe aumentare la tensione sui salari, che stanno già crescendo al ritmo più alto da cinque anni a questa parte. Insomma una vera stranezza, la Polonia, che è fuori dall’euro, ha i salari che crescono e l’età pensionabile che diminuisce. Sembrerebbe proprio che c’è vita fuori dall’euro! Non solo, da quando è andato al potere nel 2015, l’attuale governo ha velocemente aumentato la spesa pubblica per tenere fede alle promesse elettorali di aiutare le famiglie e ridistribuire i frutti della crescita economica in modo più equo. Nonostante la crescita della spesa pubblica, il bilancio pubblico ha registrato il primo surplus da più di due decenni nel periodo gennaio-agosto, principalmente grazie a un intervento governativo contro l’evasione fiscale e grazie ai bonus concessi per i nuovi nati, che hanno alimentato i consumi. In pratica la Polonia, aumentando la spesa pubblica in favore delle famiglie e incrementando il loro reddito, attua politiche keynesiane, in netta controtendenza col resto d’Europa, che invece le ha sepolte ed infatti ne vediamo gli effetti. Fonte
0 Commenti
Ancora una interessante approfondimento del Financial Times sulla situazione in Europa, stavolta sotto i riflettori del quotidiano finanziario è andata la Germania. La problematica riportata è quella della povertà e della disuguaglianza sociale, porre l’accento su questi temi potrebbe sorprendere, dato che il resto del mondo industrializzato guarda con invidia alla “performance” economica tedesca. La Germania è un paese ricco, con il più elevato reddito pro-capite tra i grandi paesi della UE, davanti a Gran Bretagna, Francia e Italia, come evidenzia il grafico qui sotto; il reddito medio in Germania è di 34500 euro, mentre in Italia è di 25900, cioè il 30% in meno. Nonostante la disoccupazione sia tra le più basse d’Europa e si attesti al 3,7 %, in un recente sondaggio della televisione ARD però, in vista delle elezioni di settembre, i tedeschi hanno indicato come la disuguaglianza sociale sia un grande problema. In termini di redditi delle famiglie, che forse è l’indicatore principale della disuguaglianza generale, la Germania è vicina alla media europea. Ma in termini di ricchezza la Germania è significativamente più disuguale rispetto agli altri paesi, con le famiglie più ricche che controllano una quota della ricchezza più ampia rispetto agli altri paesi dell’Europa occidentale. Il 40 % dei tedeschi più poveri non possiede praticamente alcun bene patrimoniale, nemmeno dei risparmi in banca. Piuttosto sconfortante il grafico qui sotto riportato dal Financial Times, dove è evidenziato che solo il 45 percento dei tedeschi possiede la casa nella quale vive, tutti gli altri sono in affitto, specialmente nelle grandi città, dove le proprietà immobiliari hanno il valore più elevato. Da notare invece che in Italia quasi il 70 % degli italiani è proprietario di una casa, valore tra i più alti nella UE, ecco perché l’Europa ci chiede di ”tartassare” le nostre case, soprattutto la “prima casa”. Dopo un periodo di iniziale stagnazione avvenuto a seguito della riunificazione, la Germania è tornata a crescere grazie a un boom delle esportazioni combinato con una moderazione salariale (leggasi stipendi molto bassi) da parte dei sindacati e col pacchetto Hartz IV per il mercato del lavoro e le riforme dell’assistenza sociale, che hanno spinto sempre più disoccupati al lavoro.
Se però la disoccupazione è diminuita, le persone a reddito basso guadagnano comparativamente sempre meno rispetto ai lavoratori ben pagati. Negli ultimi cinque anni questo divario si è leggermente ristretto, perché i sindacati hanno ottenuto qualche aumento e l’introduzione di un salario minimo per legge, approvato nel 2015, contribuendo a sostenere i redditi. Un ruolo importante nel ridurre la disoccupazione e aumentare il numero degli occupati al livello record di 44 milioni ha avuto l’espansione dei “mini” job, posti di lavoro part-time deregolamentati, che sono passati da 4,1 milioni nel 2002 a oltre 7,5 milioni quest’anno. I loro sostenitori dicono che hanno contribuito a creare opportunità di lavoro, ad esempio per madri con figli piccoli, studenti e pensionati. Ma i critici affermano che questi mini-job hanno spesso rimpiazzato posti di lavoro a tempo pieno, specialmente nei settori della ristorazione e della vendita al dettaglio. Inoltre, sebbene dopo la riunificazione del 1990 la Germania Est abbia fatto progressi, i redditi rimangono più bassi di un terzo rispetto ai livelli della Germania Ovest. Con il 24 % della popolazione over-65, la Germania Est sarebbe, se fosse uno stato indipendente, il più anziano del mondo. Ad ogni modo, le sacche di deprivazione e povertà non si limitano alle regioni dell’Est. “I ricchi se ne vanno dai quartieri poveri e persone povere affluiscono”, dice Dieter Heisig, pastore protestante che ha prestato servizio nella città di Gelsenkirchen per più di 30 anni. “Non vorrei dover dire che abbiamo dei ghetti, qui in Germania, però li abbiamo”. La Germania che impone al resto d’Europa politiche di austerità, bassi stipendi e quindi un modello economico deflattivo, volto essenzialmente all’export e al liberismo economico, comincia ad essere un problema anche per i suoi cittadini, parte dei quali sono in stato di povertà e subiscono una forte disuguaglianza sociale. Vedremo se il popolo tedesco intenderà cambiare tutto ciò con le imminenti elezioni politiche. Fonte Dopo lo sciopero del 16 giugno scorso nei trasporti, che ha provocato forti disagi all’utenza, è iniziato l’assedio al diritto di sciopero. Sono sempre dell’opinione che, se dei lavoratori intraprendono un’azione di lotta collettiva, evidentemente hanno problematiche che non trovano una soluzione nel normale confronto sindacale con l’azienda. Certo che il diritto di sciopero e quello di libertà di spostamento sono entrambi costituzionalmente garantiti, ma pur apparendo in conflitto tra loro hanno invece un punto di incontro, nel senso che da un lato i lavoratori dei trasporti che intendono dare un miglior servizio all’utenza, non hanno la possibilità di farlo perché la mancanza di investimenti dell’azienda ed i tagli ai costi non lo consentono, dall’altro la libertà di spostamento di chi usa i mezzi di trasporto è spesso messa a dura prova dalla non adeguatezza dei mezzi stessi e dalla carenza di infrastrutture o dalla vetustà delle stesse. La riposta del governo si è invece concentrata nel colpire lo sciopero dal punto di vista legislativo; sono ben tre i disegni di legge presentati al Senato che vanno in questa direzione: il disegno di legge 550, presentato dal Sen. Di Biagio; il 1286 presentato dal Sen. Sacconi ed altri; il 2006 presentato dal Sen. Ichino. I predetti disegni di legge hanno l’intento di modificare la legge 146/90 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in particolare nei trasporti, con interventi sulla proclamazione dello sciopero, sull’ampliamento dei poteri della Commissione di vigilanza e persino sul diritto di assemblea nei luoghi di lavoro. In sostanza il diritto di sciopero e il diritto di assemblea nel Paese sono sotto assedio. Ma vediamo i punti salienti di questi provvedimenti che il governo vorrebbe far approvare effettuando una sintesi, che causerebbe un formidabile vulnus all’esercizio di questi diritti. Si vorrebbe ricondurre la proclamazione dello sciopero solo “da parte di organizzazioni sindacali complessivamente dotate di un determinato grado di rappresentatività [almeno del 50%, mentre, al di sotto di questa soglia, sarebbe previsto addirittura un “referendum” preventivo tra lavoratori interessati allo sciopero] e dell'istituto della dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore” disposizione che riguarderebbe “almeno” il settore dei trasporti. Vi è poi un sorprendente “ricorso all'istituto dello sciopero virtuale, inteso come manifestazione di protesta con garanzia dello svolgimento della prestazione lavorativa”, da rendere obbligatorio e sembrerebbe riguardare il solo settore dei trasporti, ma visto come vanno le cose in Italia, potrebbe prevedere l’estensione di tale disciplina anche agli altri settori. Si prevede poi un “congruo anticipo della revoca dello sciopero al fine di eliminare i danni causati dal cosiddetto «effetto annuncio»”. L'istituzione della Commissione per le relazioni di lavoro andrà peraltro ad assorbire l'attuale Commissione di garanzia in modo da consentire, anche attraverso accorgimenti tecnici volti a garantire certezza del diritto e delle relative sanzioni, un più penetrante raccordo tra funzionamento del sistema di relazioni industriali e regolamentazione. L’assemblea nei luoghi di lavoro sarebbe soggetta ad un preavviso di almeno 5 giorni e la determinazione della collocazione temporale dell’assemblea in orario di lavoro spetta in via principale al datore di lavoro. Ma La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è ancora attuale? È una domanda che mi pongo da un po’ di tempo. Alcuni anni fa quando frequentavo un master universitario, un professore di diritto del lavoro di un ateneo romano mi disse: “con la legge che regola lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, si può dire che lo sciopero in Italia è praticamente morto”. La legge 146 varata nel 1990, limita nei servizi pubblici essenziali, in modo fortemente restrittivo, la più importante delle azioni collettive di una associazione sindacale, cioè lo sciopero, ad un sola giornata. Dopo 27 anni lo scenario economico e del lavoro nel nostro Paese è totalmente cambiato: facciamo parte dell’Unione Europea, l’economia è divenuta globale ed iper - liberista, il lavoro è divenuto il bersaglio di istituzioni nazionali e sovranazionali che, in nome della competitività e del mercato, da una parte hanno esautorato la presenza dello Stato nell’economia come arbitro, dall’altra hanno portato alla mortificazione del lavoro, attraverso leggi di regolamentazione come il “Jobs Act”. L’introduzione della moneta unica, non consentendo più di svalutare la nostra moneta nazionale, che non abbiamo più, ha comportato la “svalutazione” del lavoro attraverso bassi stipendi, perdita costante dei diritti dei lavoratori, precarizzazione dell’occupazione, elevata disoccupazione, specialmente giovanile, oltre ad una poderosa deindustrializzazione nazionale. E’ stato indubbiamente presente, nel corso di questi anni, un progressivo allontanamento dei lavoratori dai sindacati con conseguente perdita di forza di quest’ultimi e forse anche la limitazione dello sciopero, voluto dalla legge, potrebbe aver lentamente contribuito a questo risultato. Se quindi le rivendicazioni dei lavoratori sono oggi enormemente più elevate, rispetto al periodo storico in cui è stata varata la legge, appare anacronistica la limitazione voluta dalla norma nei servizi pubblici essenziali; sarebbe pertanto auspicabile che su questo argomento si aprisse, da parte delle associazioni sindacali, una riflessione ed un’energica iniziativa che convinca la politica a desistere da questa aggressione e a riconsiderare in senso meno restrittivo la legge stessa. Fonte Interessante convegno tenutosi presso l’Istituto Sant’Orsola lo scorso 22 Giugno: “Mondo in espansione ed Europa deflattiva”, al quale ho partecipato e dove l’economista Galloni ha riferito che il mondo sta cambiando in meglio. Fino al 2012 infatti la priorità era esportare limitando la domanda interna, riducendo i salari, poi la Cina ha pensato di aumentare i salari dei lavoratori, ha iniziato a fare investimenti in infrastrutture, ospedali ecc.. Ma aumentare la domanda interna, si badi bene, per l’economista, è anche il messaggio che lancia la Russia, l’India e lo stesso Trump. In tutto ciò solo l’Europa è rimasta nelle sue retrograde e “deflattive” posizioni e come dice Galloni: “per sostenere l’euro dobbiamo accettare bassi salari e bassa occupazione perché siamo in Europa”. Ha inoltre ribadito che in Italia abbiamo pochi dipendenti pubblici, rispetto agli altri stati europei e che sarebbe molto opportuno aumentarne il numero, assumendo giovani, soprattutto laureati, per dare migliori servizi alla collettività. Ho voluto approfondire, il giorno del convegno, alcune tematiche interne al nostro Paese di economia, politica e sindacato con il Prof. Galloni, che propongo nella video intervista qui riportata. |
AutoreLuca Bellini Categorie |