E’ questa la notizia a dir poco sensazionale che arriva dall’ estremo oriente, che ci fa conoscere Forbes, rivista statunitense di economia e finanza. Ovviamente questo dato sorprendente non è esteso all’ intero mondo del lavoro cinese, ma circoscritto ad alcuni settori dei distretti produttivi cinesi di maggior rilievo. Il raffronto con l’Europa si riferisce sopratutto alle nazioni dell’Est, ma non solo, certamente il dato è estremamente significativo, poiché avvalora la tendenza che in Cina vi è un progressivo e generalizzato incremento dei salari.
Per fare degli esempi, le retribuzioni mensili medie cinesi a Shanghai ($ 1,135), Pechino ($ 983) e Shenzen ($ 938) sono più alte della Croazia, ma potremmo aggiungere anche dell’Italia, pensiamo a chi percepisce da noi un salario di 700-800,00 euro al mese, che in dollari sono circa 850 - 970; inoltre, sempre quelle di Shanghai, sono maggiori su base mensile anche della Lituania ($ 956) e Lettonia ($ 1,005), con l’Estonia, che ha aderito all’euro nel 2011, che secondo i dati del governo registra un reddito medio di $ 1,256 al mese nel 2016. Sempre secondo l’articolo di Forbes la crescita dei salari in Cina è impressionante. Questo è un ottimo risultato per i cinesi. Certamente risulta indietro la crescita dei salari in molti dei paesi a basso reddito in Europa. Ciò che questi numeri dimostrano è che il ruolo della Cina, come centro manifatturiero, ha posto le basi per qualsiasi aumento futuro delle retribuzioni, in particolare per gli operai non qualificati del settore manifatturiero, ma anche ben presto in altri nuovi settori come l’e-commerce. L’articolo però non ci dice il motivo per cui è avvenuta questa progressiva tendenza all’aumento degli stipendi in Cina, la risposta la possiamo trovare nel ragionamento dell’economista Antonino Galloni, che spiega come la Cina stia puntando ad incrementare la domanda interna di consumi e a diminuire le esportazioni. “Fino al 2012 infatti la priorità era esportare limitando la domanda interna, riducendo i salari, poi la Cina ha pensato di aumentare i salari dei lavoratori, ha iniziato a fare investimenti in infrastrutture, ospedali ecc..” ecco perché vi è stato un generale aumento dei salari. Non solo, ma secondo l’economista, lo stesso indirizzo lo troviamo in altri paesi come l’India, la Russia e gli stessi Usa. Mentre in Europa è ancora ben saldo il paradigma economico dell’export che, in nome della competitività, prevede salari bassi per i lavoratori. E’ proprio questo paradigma, afferma Galloni, che è necessario ribaltare, per consentire salari più alti per chi lavora in Europa e soprattutto in Italia, ciò consentirebbe una ripresa dei consumi e quindi un incremento della domanda interna, con ricadute positive sull’occupazione. Cambiare si può, basta che chi governa il nostro Paese lo voglia, intanto i lavoratori attendono. Fonte Fonte2
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A dirlo è l’economista Antonino Galloni, uno dei massimi esperti di moneta in particolare quella fiduciaria o alternativa all’euro, secondo l’esperto per fronteggiare la grave situazione economica e sociale che da moltissimi anni deprime l’Italia, lo Stato potrebbe e da subito, emettere una sua moneta. Il Trattato di Maastricht (articolo 128a) dice che non possiamo stampare banconote. Che problema c’è? Basta stampare “Statonote”, a circolazione nazionale, da usare per assumere e per fare investimenti, «perché poi chi le accettasse le utilizzerebbe per pagare le tasse». Non solo, ma secondo l’economista, in questo modo, si aggirerebbe anche la tagliola del pareggio di bilancio in Costituzione (regalo di Monti), «perché se abbiamo spese superiori alle tasse, basterà aggiungere questa moneta sovrana, la quale – non essendo a debito – avrà lo stesso segno algebrico delle tasse, e cioè il segno più. Quindi: tasse più moneta sovrana, uguale spesa. E abbiamo anche il pareggio di bilancio senza tanti drammi». E possiamo persino coniare degli euro. Le monete vengono stabilite dalla Bce in base a dei plafond nazionali, «quindi non possiamo coniare monete della stessa pezzatura di quelle che abbiamo in tasca. Ma possiamo farlo con altre pezzature. Già la Finlandia lo fa con monete da 2,50 euro, e la Germania ha emesso monete da 5 euro. Anche in Italia sono state emesse monete da 10 euro» Con una moneta sovrana l’Italia, inoltre potrebbe creare dai 7 agli 8 milioni di posti di lavoro. È una necessità impellente per l’economista, perché il grande capitale straniero, francese in primis, sta sbranando l’Italia. Galloni appare molto scettico invece sul reddito di cittadinanza che a suo parere vorrebbe dire “togliere a una parte della classe media delle risorse per darle a quelli che non hanno reddito“. Una soluzione che non sana il problema di un’economia asfittica qual è quella italiana. Il vero reddito di cittadinanza per Galloni, è dunque la creazione di quei 7-8 milioni di posti di lavoro che ci permetterebbero di “mandare a regime tutte le esigenze della società italiana in termini di ambiente, di assetto idrogeologico del territorio, di cura delle persone (soprattutto gli anziani, ma anche i bambini) e di recupero del patrimonio artistico, archeologico e comunque esistente: manutenzioni, strade e ferrovie.Nell’istruzione e nella giustizia”. Non c’è quindi bisogno di alcuna forma di assistenza parassitaria come il reddito di cittadinanza, “c’è bisogno invece di lavoro: che si può creare rapidamente, con una moneta di nuovo sovrana“. Questa soluzione inoltre sanerebbe le profonde disuguaglianze sociali ormai in atto da tempo nel Paese, se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri. Non si sa fino a che punto tutto questo sia sostenibile, riassume l’economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt. Il paradosso? «Quelli che stanno bene possono permettersi di pagare di tasca propria i servizi sanitari per i figli, l’assistenza agli anziani e quant’altro. I più poveri, bene o male, hanno accesso alla gratuità. Ma il grosso della classe media non ha sufficiente reddito per pagarsi i servizi essenziali, e in alcuni casi neppure per fare la spesa al supermercato o andare al cinema, al ristorante o in vacanza, per pagare le bollette, le rate del condominio. E non ha neppure accesso alla gratuità del welfare residuale». Il discorso delle tasse invece è un falso problema, spiega Galloni: se si tagliano le tasse, ma anche la spesa pubblica, la gente avrà più soldi, ma li spenderà tutti per pagare i servizi che prima erano gratuiti. A quel punto la classe media si impoverisce, facendo crollare i consumi: addio quindi a qualsiasi possibile ripresa. «I consumi aumentano se aumentano i salari, ma oggi non ci sono le condizioni: purtroppo ce le siamo bruciate per tutta una serie di scelte furiosamente sbagliate in tutti i campi, cioè tutte le politiche che hanno portato la flessibilizzazione del lavoro in precarizzazione». Questo ovviamente ha impoverito tutti, «tranne le multinazionali che venivano qui a depredare». Ma l’impresa normale «non ha un vantaggio se i lavoratori sono sottopagati, perché allora chi compra i suoi prodotti?». Si potrebbe rispondere: ci pensano le esportazioni. «Ma per essere competitivi con le esportazioni – cioè con paesi dove i salari sono ancora più bassi dei nostri – devi ridurre i salari. Quindi è sempre un cane che si morde la coda, perché per essere competitivo devi ridurre la domanda interna, ovvero l’economia interna. Che è esattamente il modello europeo. Per questo non funziona, il modello europeo. Se non si supera questo modello deflattivo, il salario sull’occupazione, non ne esce vivo nessuno. Questo lo devono capire i francesi, i tedeschi o gli olandesi e tutti quanti». Speriamo che il primo a capire le considerazioni, più che logiche, di Galloni sia il prossimo governo, augurandoci che quanto prima venga formato e si metta al lavoro, per risolvere i molteplici problemi degli italiani, usando anche le ricette sopra proposte. Fonte Fonte 2 Sembra proprio che la politica protezionista di Trump funzioni e stia dando i primi successi; è di poche settimane fa la notizia che Fca, la Fiat Chrysler Automobiles, investirà a breve oltre un miliardo di dollari in una fabbrica nel Michigan, vicino Detroit e ciò comporterà l’assunzione di 2500 lavoratori. L’annuncio è stato fatto da Sergio Marchionne, che ha anche dichiarato che la recente riforma fiscale americana consentirà di distribuire i risparmi fiscali ai lavoratori, per i quali è inoltre previsto un bonus di 2500 dollari, da destinare ai 60.000 operai di Fca.
L’investimento della casa automobilistica avrà inoltre l’effetto di riportare la produzione negli Usa, spostandola dal Messico, dove attualmente si trova e dove il 90 % del veicoli prodotti era destinato al paese a stelle e strisce. Inoltre, la mossa di Fca precorre una sempre più vicina uscita del presidente Trump dall’accordo commerciale di libero scambio NAFTA, che comporterebbe un dazio del 25% sui beni americani prodotti fuori dal paese. Grande soddisfazione è stata espressa da Dennis Williams, presidente del sindacato dei metalmeccanici che lavorano nell’industria automobilistica, UAW (United Automobile Workers), affermando anche che, gli investimenti annunciati, aumenteranno il livello di sicurezza del lavoro, creando un polo di produzione di rilevanza mondiale. Qualcuno si domanderà se questa importante iniziativa sarà isolata e non determinante, a quanto sembra no, perché anche Toyota e Mazda hanno annunciato che investiranno 1,6 miliardi di dollari, nella fabbrica di auto in Alabama, con presumibili ricadute positive sull’occupazione. Insomma sembra proprio che la politica protezionista di Trump stia creando una “reazione a catena”, riportando gli investimenti negli Usa e la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. Perciò lo slogan America first inizia a prendere sempre più corpo, come afferma il Vice Presidente Mike Pence, in occasione dell’annuncio di Marchionne: “l’industria sta ritornando”. Anche da noi sarebbe auspicabile un governo che affermi il principio “prima l’Italia”, che attraverso una mirata politica economica e fiscale, riesca a riportare in Italia l’industria ormai per la gran parte delocalizzata da moltissimi anni all’estero, creando così le condizioni per avere nuovi posti di lavoro. Fonte Fonte 2 Fonte 3 L ‘ECONOMISTA MINENNA: SE NON CREIAMO LAVORO PER I GIOVANI, L’ETà PENSIONABILE SALIRà ANCORA29/11/2017 Un intervento a tutto campo quello dell’economista Marcello Minenna, professore di economia alla London Graduate School of Mathematical Finance, durante la trasmissione “Omnibus” su La 7, lo scorso 5 Novembre. Sull’economia del nostro Paese ad iniziare dal problema delle pensioni e l’innalzamento dell’età a 67 anni afferma: “da noi si entra molto più tardi che in altri paesi dell’ eurozona a lavorare , cioè si arriva dopo i 35 anni, questo non va bene. Se esco dal liceo o dalla scuola superiore o dall’università a 22- 23- 24 anni, non posso stare dieci anni a zonzo, altrimenti non pago i contributi e non consento al nostro sistema pensionistico di mantenersi in equilibrio, ci sono sempre due facce della medaglia vogliamo sempre focalizzarci su quella più da gestire “. Non si possono non condividere le sue parole, il fatto è che né la politica, né l’informazione sembrano attente a parlare ed affrontare questo problema, cioè che non riusciamo a far lavorare i giovani, presupposto fondamentale che consentirebbe all’Italia di non ritoccare sempre verso l’alto l’età pensionabile.
Una possibile soluzione per occupare i giovani potrebbe essere proprio la pubblica amministrazione, già l’economista Antonino Galloni, intervistato da Analysis, si è espresso sul punto ed anche Minenna dice la sua, affermando: “ Vogliamo una pubblica amministrazione moderna, veloce e poi facciamo in modo che nella pubblica amministrazione ci siano ultra cinquantenni ed ultra sessantenni; con tutto il rispetto, sono i giovani che possono portare ad una modernizzazione all’interno della nostra pubblica amministrazione”. E rimanendo sempre sull’argomento dipendenti pubblici e su i loro stipendi, che indubbiamente incidono sulla spesa pubblica, precisa: “La spesa pubblica fa parte del Prodotto Interno Lordo; quindi, bisogna stare attenti a tagliare la spesa pubblica, perché interveniamo direttamente sul Pil. Non a caso il Ministero dell’economia, e vengo agli stipendi pubblici, attribuisce un moltiplicatore maggiore di uno ( cioè producono un aumento dei consumi, con beneficio per l’economia di un paese), quindi andare a colpire o a non aumentare gi stipendi dei dipendenti pubblici, non è una buona cosa per il nostro Paese”. Per quanto riguarda invece la produzione nazionale, secondo Minenna dal 2007 – 2008, la nostra industria finanzia la produzione con un 30% di costo in più della omologa industria tedesca, questo vuol dire che è più difficile competere; il problema è che mentre abbiamo un’unica valuta, cioè l’euro, non abbiamo gli stessi tassi d’interesse, che sono diversi da paese a paese della UE, quindi le nostre imprese hanno un costo più alto per finanziarsi. Inoltre, l’obiettivo del pareggio di bilancio, inserito nella nostra Costituzione dal governo Monti nel 2012, secondo Minenna nei manuali di economia non trova tutto questo supporto. Ciò ha comportato un impatto negativo sulla nostra economia, dove, negli ultimi anni, tra crediti deteriorati delle banche ed imprese fallite, abbiamo avuto un difetto di entrate per lo Stato pari a 100 miliardi di euro. E con riferimento alla politica economica europea, conclude Minenna: “non vedo proposte chiare del nostro paese su come rivedere l’architettura dell’eurozona in una logica di rischi condivisi, insomma in una direzione che sia più simile agli stati uniti d’Europa, che abbia un bilancio federale importante, perché qui si gioca la partita, o prendiamo una direzione, che è quella della condivisione dei rischi, oppure prendiamo una direzione, prima che sia qualcun altro a darcela, di valutare come farcela da soli, ma da tutti i punti di vista, anche con riguardo all’euro”. Fonte |
AutoreLuca Bellini Categorie |